Recensione al libro “L’altro furto della Gioconda”

Nell’agosto del 1911, avveniva a Parigi uno dei furti più eclatanti della storia. In uno dei templi più accreditati dell’arte in Europa, nel parigino museo del Louvre, tanto prestigioso e frequentato quanto scarsamente protetto, qualcuno rubava, senza molta difficoltà, la Gioconda, l’opera universalmente riconosciuta come uno dei frutti migliori dell’arte rinascimentale e della genialità di Leonardo da Vinci. Le circostanze, i fatti, i personaggi di quella vicenda, le indagini e gli esiti giudiziari, hanno ispirato, da allora ad oggi, oltre a numerose indagini giornalistiche e storiche, anche una ragguardevole produzione narrativa. Di questo ricorrente interesse per il trafugamento di Monna Lisa, ne è importante testimonianza un ultimo e recente lavoro letterario. È il romanzo, appena pubblicato per i tipi di Scatole Parlanti, di Giovanni Gaudio, che ha per titolo L’altro furto della Gioconda. Gaudio, troinese (classe ’62), ha ripreso in mano il caso della Gioconda rubata e ha ricostruito quegli avvenimenti di ormai più di cent’anni fa, rimettendo in scena i personaggi che ne furono coinvolti, in una trama dei fatti che, però, diverge da quella passata alla storia come ufficiale e definitiva. Gaudio racconta le vicende dei fratelli Vincenzo e Michele Lancellotti, di Vincenzo Peruggia, di un fantomatico e misterioso marchese di Valfierno, della Bella Otero, e di altri personaggi e falsari coinvolti nella scomparsa e poi nella riapparizione del prestigioso e travagliato dipinto leonardesco, rivedendo i ruoli, le motivazioni e i concreti fatti attribuiti loro dalla narrazione più conosciuta della vicenda. Il romanzo di Gaudio si tinge di giallo, come si suol dire, perché l’autore è convinto che il furto della Gioconda, come il suo celeberrimo sorriso, sia ancora in largo misura un enigma. Eppure Gaudio una soluzione al caso la propone e la si potrà scoprire leggendo il suo libro, che non vuole comunque essere un testo d’indagine documentaria, ma un romanzo, un’ opera letteraria, con le sue precipue caratteristiche narrative che mirano a intrattenere, a coinvolgere e ad appassionare e non certo a “dimostrare” una verità. E sul piano della narrazione, oltre al contenuto intrigante, il romanzo di Gaudio mostra i suoi pregi in una scrittura sempre scorrevolmente piana e chiara e sempre densa, sia nel descrivere le ben diverse atmosfere dei luoghi in cui la storia si svolge (le valli del varesotto e la capitale francese), sia quando rende vivi e credibili i protagonisti principali della vicenda narrata (in particolare i due fratelli imbianchini, i Lancellotti) colti mirabilmente nella loro quotidianità e nell’orizzonte materiale dei loro bisogni: di cibo, di sesso, di lavoro.
È, quella di Gaudio, inoltre, una narrazione che rende bene gli umori, gli animi e le azioni lecite e illeciti di un variegato gruppo di individui, che a vario titolo sono coinvolti nel furto del secolo, in scene e sequenze che già ad una prima lettura si impongono e si imprimono: frutto creativo, questo, di una formazione culturale dell’autore fatta ovviamente di buone letture, ma ampiamente nutrita da immagini (Gaudio è regista, sceneggiatore, fotografo, cineoperatore).
Cosicché, il romanzo di Gaudio, dalla scrittura incisiva e sanguigna, mai paludosa e accondiscendente (perché scaturisce da una sincera voglia di scrivere per il semplice gusto di farlo), nella varietà dei toni e dei registri (ora drammatici, ora leggeri e comici) mantiene sempre viva la curiosità verso la storia che narra, nell’appagante piacere di leggerla sino all’impensabile finale.

 

Silvestro Livolsi

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