Il 9 maggio di 44 anni fa, di sera, nell’aula del consiglio comunale di Troina si tenne un’assemblea cittadina, che era stata convocata dal sindaco Vittorio Fiore (Pci) appena aveva appreso la notizia del ritrovamento in mattinata a Roma, in via Caetani, nel bagaglio di una Renault 4, del corpo senza vita di Aldo Moro. Il presidente della Dc, Moro, c era stato rapito da un commando delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 a Roma. A pubblicizzare l’assemblea cittadina, una sorta di consiglio comunale aperto agli interventi di cittadini e dei partiti di allor, ci pensò Silvestro Sineri girando per il paese a bordo della sua auto dotata di impianto di amplificazione installato sul tetto della sua macchina. La tragica notizia, che era stata diffusa in mattinata dai notiziari della radio e della televisione nazionali suscitò a Troina una sincera e profonda commozione, che si manifestò nella massiccia partecipazione dei suoi cittadini all’assemblea cittadina. La sala del consiglio comunale era piena. La parte della sala riservata al pubblico era affollatissima. I banchi dei trenta consiglieri comunali erano stipatissimi, ne contenevano più di trenta di cittadini. Anche lo spazio tra le due ali dei banchi dei consiglieri, si erano assiepati anche quei cittadini che non avevano trovato posto dove sedersi. Persino il grande tavolo dove prendevano posto il sindaco e gli assessori era occupato da cittadini. Gli altri che non poterono entrare nell’aula consiliare si misero nell’ampia anticamera sui gradini della gande scala. Io ero riuscito a trovare un posto nei banchi di sinistra, nel posto dove di solito si sedeva il capogruppo consiliare del Pci. Non ero né consigliere comunale né segretario di una delle due sezioni del Pci, la Lenin del Borgo e la Giuseppe di Vittorio di San Basilio. Ero nel comitato direttivo della Lenin. Prima dell’inizio dell’assemblea, i due segretari di sezione, Arturo Calabrese e Antonio Cortese, e Fiore mi dissero che sarei stato io a parlare a nome del Pci di Troina. Ricordo che provai una sensazione di smarrimento perché non pensavo di fare un intervento. Averlo saputo pochi minuti prima dell’inizio di un’affollatissima assemblea, e per di più con al centro un evento drammatico e di grande rilevanza politica nazionale, era normale provare quella sensazione da quale mi riebbi subito. Non mi fu difficile articolare il mio intervento perché sul rapimento di Moro avevo riflettuto a lungo durante i 56 giorni della prigionia di Moro. Dissi che il rapimento prima e il barbaro assassinio di Moro avevano un obiettivo ben preciso: interrompere brutalmente il lento superamento del blocco del sistema politico italiano basato sulla conventio ad excludendum del Pci dall’area di governo. Moro da una parte per la Dc e Berlinguer dall’altra parte del Pci perseguivano un disegno che non era quello di un governo Dc-Pci, ma di un pieno di spiegamento della democrazia dell’alternanza e di un allargamento delle basi popolari di consenso alle istituzioni repubblicane. I due partiti, Dc e Pci, raccoglievano allora il consenso del 75 per centro del paese. Mi ricordo che allora dissi che in questo senso la politica di Moro somigliava per alcuni tratti con la politica di Giolitti nei confronti del Psi del primo decennio del ‘900. Naturalmente i due contesti erano molto diversi. Con la divisione del mondo in due grandi di influenza americana e sovietica, dopo la fine della seconda guerra mondiale, la partecipazione di un partito comunista al governo di un paese occidentale non era possibile. Tutto questo poteva turbare l’equilibrio della guerra fredda tra Usa e Urss. Tutte e due queste superpotenze guardavano con diffidenza, se non aperta ostilità, alla partecipazione del Pci al governo dell’Italia, un paese occidentale di grande rilevanza geopolitica per gli Usa. Dissi allora che, se ad uccidere Moro furono le Brigate Rosse per il colpire lo Stato italiano al cuore, c’erano anche altri molto interessati ad interrompere la fase del politica italiana nella quale erano impegnati Dc e Pci per sbloccare il sistema politico italiano imperniato sull’esclusione del Pci dal governo del paese. Le Brigate Rosse posteggiarono la Renault 4 con il corpo senza vita di Moro in via Caetani a Roma, tra le sedi nazionali del Pci in Via Botteghe Oscure e della Dc in Piazza del Gesù. Il messaggio, con quel simbolo fu chiaro.
Silvano Privitera