La peste del 1575 a Troina

Nel 1575 una terribile pestilenza sconvolse Troina. Secondo il cappuccino frate Antonino da Troina, che scrive di vicende locali nel 1710, in tre mesi morirono più di 1.200 persone.
Furono introdotte “cautele” consigliate dai medici e istituiti locali d’isolamento. Nella tremenda circostanza fu portato per le vie in processione il simulacro del troinese San Silvestro (1110 – 1164). Scrive Silvestro Messina: “Condussero il suo simulacro per le vie cittadine in solenne processione, accompagnato da una trepidante fede cristiana, con la compartecipazione di appestati e sani in perfetta comunione, i quali prodigiosamente non erano contagiati, imploranti insieme la celeste pietà. Il glorioso Santo preservò i suoi figli facendo svanire la pestilenza” Un episodio poco noto, sottaciuto sia dalla tradizione popolare che dalla storia ufficiale, è l’intercessione del nostro San Silvestro per liberare dall’epidemia pestilenziale anche la vicina Nicosia.
La pestilenza si abbattè su tutta l’Italia dal 1575 al 1578 e venne chiamata “peste di San Carlo” perché ebbe il suo epicentro a Milano, dove il cardinale Carlo Borromeo, poi elevato alla gloria degli altari, si prodigò senza risparmio nel portare aiuto e conforto ai malati. Una delle prime città colpite dall’epidemia, nel 1575, fu Palermo, che seppe limitare i danni – secondo testimonianze attendibili come quelle del Corradi e di Pietro Parisi – ricorrendo a drastiche misure preventive.
La peste, se controllata nelle grandi città, continuerà però a serpeggiare per quasi dieci anni nelle campagne e i suoi effetti si salderanno con la carestia del 1591 e l’epidemia di tifo che la segue. Perciò alla fine del secolo le regioni di montagna risulteranno spopolate (il nord-est montagnoso perde tra il 20 ed il 25 per cento della popolazione); mentre le zone granarie tengono, quando addirittura non progrediscono. A complicare le cose, nei mesi più acuti dell’epidemia il quadro politico siciliano è dominato dalla bancarotta del Regno di Spagna con effetti che coinvolgono la politica economica e fiscale di tutti i possedimenti spagnoli, Sicilia inclusa.
Città demaniale, amministrativamente ed economicamente in mano ad una ristretta cerchia di famiglie benestanti e dominanti, a cominciare dai Di Napoli – ora in competizione ora in accordo tra loro – Troina è interessata anche da un forte potere religioso, sia di impronta culturale che economica, accanto a quello delle istituzioni civili. Una consistente parte del territorio è di proprietà dei numerosi conventi, tra cui spicca per carico di storia e rilevanza San Michele, appartenente all’Ordine dei Basiliani. Quanto ai medici, alla fine del XVI secolo operano a Troina ben 9 doctores, anzi – ad essere più precisi – “artium et medicinae doctores” quattro “aromatarii”, coloro che preparavano e vendevano rimedi, erbe medicinali ed infusi vari. Sempre in tema di assistenza sanitaria, va ricordato che nel 1573 i cappuccini gestiscono una casa per infermeria nel quartiere “dello Baglio”.
A Troina la paste infuriò nei primi del mese di ottobre e durò poco più di quattro mesi. “La tradizione popolare dice che vi fu importata da due corvi provenienti da luoghi infetti, che lasciarono cadere in pubblica piazza degli stracci pieni di sudiciume e di materie purulente – afferma lo storico Salvatore Saitta – La devozione religiosa scolpì in argento alla base del magnifico ferculo di San Silvestro la propria riconoscenza per la cessazione della pestilenza. Se la importazione del morbo ha questa leggendaria origine è segno che i cordoni sanitari dell’epoca trovavano rigorosa attuazione e persistettero fino a quando l’epidemia non fu interamente scomparsa dall’isola. Infatti solo nell’anno 1577 e non prima d’allora troviamo negli Archivi comunali i lascia passare dei diversi paesi circostanti o lontani”.
“Fortuna fu allora per la Sicilia d’avere avuto per protomedico il celebre Ingrassia, cui a ragione si sta rivendicando il merito di primo igienista oltre quello di medico legale. I precetti di questo grande scienziato siciliano, comunicati a tutta l’isola, debellarono in breve il flagello” scrive, piuttosto ottimisticamente, Saitta. Quando si conosceva o si denunziava un appestato “ammorbato” o “abbarrissato” o un morto di male contagioso, la casa di abitazione veniva isolata, si accantonavano in altre camere i parenti, per i sospetti veniva stabilita la sorveglianza e molte volte si dava l’ordine di tenerli tappati in casa come in carcere.
“Questi provvedimenti utili e civili niente da invidiare avrebbero alle misure di medicina politica moderne – osserva compiaciuto Saitta – Fu in seguito a tali precauzioni igieniche che la peste fu in breve domata per merito di sagge persone e di medici e se per lo scampato pericolo si ringraziò con solenni feste San Silvestro non dovette ciò adombrare quei semplici sanitari, zelanti e credenti, che avrebbero dovuto ravvisare nel santo la veneranda effige d’un loro antico collega”.

Pino Scorciapino

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