La Giornata Internazionale della donna nasce nel 1909 a New York, come effetto prodotto dalla protesta di un gruppo di camiciaie richiedenti migliori condizioni lavorative. Da quel 1909, le battaglie per la conquista di pari diritti sul lavoro hanno innescato un’accelerazione repentina nel processo di emancipazione. È un dato incontrovertibile la rimonta delle donne in poco più di cento anni, così sorprendente da indurre i più a ritenere ormai tagliato il traguardo o, peggio, a giudicare le battaglie che il nostro tempo richiede alle donne quasi petulanti.
Ma come si presenta, nel 2024, il mondo del lavoro ad una donna? Secondo i dati Istat del 2023, la percentuale maggiore di lavoratori a termine o part-time è rappresentato dalle donne, dato interpretabile anche come l’effetto della responsabilità quasi esclusiva delle madri nella cura dei figli. Sempre l’Istat, poi, ci informa del divario nella retribuzione tra uomini e donne: a parità di ruoli e qualifiche, la discrepanza è pari all’11%. Tra tutte, sono le donne manager le più svantaggiate, con un divario che raggiunge il 25%.
A questo si aggiungano anche quante, in sede di assunzione, sono costrette dal datore di lavoro a dichiarare la propria intenzione circa la maternità o, peggio, a firmare fogli di dimissioni in bianco. E gli uomini? Sminuiti nel loro ruolo di padri, ma quantomeno non sottoposti ad interrogatori sulle precauzioni prese con la moglie. Una magra consolazione, come quella di milioni di donne alle quali viene concesso il privilegio di non essere licenziate, ma che sperimentano servizi pubblici per l’infanzia inesistenti. L’effetto? Un senso di frustrazione e solitudine che spesso determina l’abbandono del lavoro o, nei casi migliori, uno sfiancamento psicofisico che dai benpensanti è additato come “il sacrificio necessario per chi ha anche una famiglia”.
Eppure, esisterebbero degli strumenti di compensazione, diversi dall’aumento dell’Iva sui prodotti della prima infanzia: i congedi obbligatori separati per entrambi i genitori, la riduzione dell’orario lavorativo senza penalizzazioni salariali nei primi anni di vita del figlio e la promozione di luoghi di lavoro child-friendly (nidi aziendali o spazi per l’allattamento) sono solo alcune delle tante cose che potremmo prendere a modello da Paesi più virtuosi del nostro.
La distanza che, malgrado le battaglie fin qui vinte, intercorre tra uomini e donne impone ad esse un’azione ancora più coesa e decisa… anche a costo di essere tacciate di femminismo da quanti lo intendono come il contrario del maschilismo.
Concita Carmeni