Sabato 30 e domenica 31 sarà proiettato il film “La zona di interesse” di Jonathan Glazer, premio Oscar 2024, al CineTeatro Andrea Camilleri di Troina.
La proiezione di sabato 30 marzo è prevista alle ore 21.00.
Una seconda proiezione è prevista domenica 31 marzo unicamente alle ore 21.00.
Il film “La zona di interesse” di Glazer è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis. La storia raccontata nel film, però, è la storia vera di Rudolf Hoss, direttore del campo di concentramento di Auschwitz che pianifica le operazioni di sterminio come se fosse una normale pratica burocratica, come se si trattasse di un comune lavoro da impiegato. Non è un film biografico che racconta tutta la vita di Hoss. Ne racconta soltanto alcuni pezzi, quelli vissuti con sua moglie Edwig e i suoi cinque figli tra la fine degli anni ’30 e la prima metà degli anni ’40 del Novecento nella villa distante pochi metri dal campo di concentramento, nella zona perimetrale al campo, la cosiddetta “zona di interesse”. Nel film viene messa in scena la vita quotidiana, grigia e noiosa, di questa famiglia di una certa borghesia agiata e benestante, che si permette molti lussi derivanti dagli orrori non troppo celati e poco distanti dalla villa in cui abita. Nel film non si vedono gli interni del campo di concentramento. Si sentono in lontananza grida di dolore e spari, ma quello che accade all’interno del campo non si vede. Si ha la sensazione, vedendo il film, che il regista ci voglia mostrare l’orrore dei lager nazisti senza mostrarlo, di raccontarlo nascondendolo, ma alla fine ci obbliga ad andare dove non ci vuole portare. Nel film “La zona di interesse”, Hoss non è rappresentato come un mostro, il male assoluto, come sono rappresentati i nazisti in molti film sulla shoah. Hoss e Edwig sono rappresentate come persone comuni abituate alla violenza e agli orrori ai quali venivano sottoposti ebrei, omosessuali, prigionieri polacchi, ungheresi e russi a poche decine di metri dalla villa in cui vivevano. Il film è una riuscita rappresentazione cinematografica del concetto “la banalità del male” elaborato dalla filosofa tedesca Hannah Arendt mentre assisteva, come giornalista inviata del New Yorker, al processo celebrato a Gerusalemme contro il nazista Eichmann. Alle accuse di aver organizzato il genocidio di ebrei, Eichmann, come del resto facevano tutti gli altri gerarchi nazisti, si giustificava rispondendo che aveva ubbidito ad ordini superiori. Ma è possibile che stesse semplicemente eseguendo gli ordini? No, non è possibile. Credevano in quello che facevano. Ma c’è un’altra domanda che il film ci pone: cosa avremmo fatto noi al loro posto, come ci saremmo comportati? Non è una domanda peregrina perché il razzismo non è scomparso con la sconfitta del nazifascismo nella Seconda Guerra mondiale.
Silvano Privitera