Gli strenui combattenti di Trinakia

Una tesi suggestiva anche se tutta da dimostrare: l’identificazione di Troina con Trinakia, fiera città dei Siculi che, combattendo contro la potente Siracusa, scrisse una epica pagina di storia nella Sicilia di quasi duemilacinquecento anni fa. Tesi propugnata dallo storico originario di Cesarò Totò Gliozzo.

Engyon, Imachera, Imakara, Traghina, Traina, Trahyna, Trachys, Urbs Trajnica, Trachina, Tryna, Drajna, Dragona, Tragina, Tar’ginis: di volta in volta nei secoli scorsi Troina è stata nominata da storici, geografi, viaggiatori, archeologi in tutti questi modi. Mentre resta aperto l’interrogativo se il sito odierno coincida con quello dell’antica città sicula di Engyon – piccola ma famosa per la presenza del santuario delle Meteres, le Dee Madri – e quindi sulla identificazione di Engyon con Troina, e mentre perde sempre più consensi l’identificazione con la città sicula di Imachera, è già vecchia di qualche anno ma se ne è discusso poco (quasi che sia passata sotto silenzio) la tesi che identifica Troina con Trinacria o Trinakia.

Totò Gliozzo, originario di Cesarò e residente a Catania, ha scritto nel 2002 un saggio dal titolo “Ducezio eroe siculo. Le città, il territorio”, pubblicato dalla casa editrice etnea “Boemi Editore”.

Ducezio, nato nel 488 a.C. da nobile famiglia sicula – secondo alcune fonti nell’attuale Mineo, secondo altre nell’attuale Noto – è il capo del movimento nazionale contro i Greci dell’isola. Con il suo carisma diede forza al desiderio di rivolta. Nel 459 a.C. i Siculi di Ducezio conquistano Morgantina. La conquista gli dà la possibilità e l’occasione di unire in lega, sotto il suo comando, tutte le città sicule, eccetto Ibla. Capitale della lega fu Palice (Palikè), nei pressi di Palagonia, da lui fondata nelle vicinanze del lago sacro dei Palici, ad un tempo centro politico e santuario nazionale. La guerra contro i greci ebbe inizio con la conquista di Etna, colonia militare fondata dai Greci del tiranno Gerone: il loro capo Dinomene, figlio di Gerone, fu ucciso (451 a.C.). Conquistò Agnone e Catania. Poi i Siculi vinsero in battaglia Agrigentini e Siracusani uniti e si impadronirono della fortezza di Mozio, in territorio di Agrigento (c’è chi identifica Motyion con l’area archeologica di Montagna di Marzo, a 22 chilometri da Piazza Armerina). Ma la perdettero l’anno dopo, battuti presso Noe o Noma (luogo di controversa identificazione) dalle forze siracusane prevalenti. Ducezio, abbandonato dai suoi, presentatosi supplice ai Siracusani, ebbe salva la vita. Ma il suo regno si dissolse: la parte meridionale (cioè la piana di Catania con Morgantina, Mene e Inessa, nei pressi dell’odierna Mascali) passò a Siracusa, il resto rimase indipendente. Prende corpo così la definitiva ellenizzazione dei Siculi. Relegato a Corinto, in Grecia, Ducezio ottenne più tardi di tornare in Sicilia e vi fondò intorno al 447 la città di Kale Akte (Bella spiaggia, probabilmente l’attuale Caronia) sulla costa settentrionale dell’isola. Secondo lo storico di Agira Diodoro Siculo, Ducezio edifico la città “per volontà di un oracolo divino”.

Il condottiero siculo morì di malattia il 440 o 439 a.C., mentre organizzava gli isolani per iniziare una nuova guerra, dopo una carriera politica durata 22 anni. Una specie di vizio di famiglia quello di fondare città: Ducezio è nonno di Arconide Erbitense, che – sempre secondo quanto afferma Diodoro – nel 403 fondò Alesa Arconidea, l’attuale Tusa.

“Ducezio è morto…La luce si spense nel paese dei Siculi. Per sempre.”: così conclude lo scrittore palermitano Valentino Dardanoni il suo romanzo “Ducezio, re dei Siculi” Nuova Ipsa Editore, 2002.

In pratica con Ducezio si determina un movimento nazionale che supera per un momento la ristretta cerchia del municipalismo siculo. Il condottiero lavorò a raccogliere il suo popolo attorno ad una forte unità politica, con una capitale, Palice. Un tale movimento non poteva non impensierire le città – stato greche della Sicilia. Ducezio si trovò in tal modo in conflitto con Agrigentini e Siracusani e seppe tenere fronte ad entrambe: inflisse un grave scacco all’una, mandò in rotta un esercito dell’altra.  Ma non ebbe dai suoi connazionali tutta l’adesione che si aspettava: dopo una nuova battaglia poco felice coi Siracusani, lo stato siculo cominciò a disgregarsi e – come abbiamo visto – il principe dovette mettersi nelle mani di Siracusa che lo esiliò a Corinto. Morì prima che la sua opera potesse dare altri frutti. Il suo ritorno servì solo a fomentare i malumori latenti tra Agrigento e Siracusa che sfociarono in un conflitto tra le due più importanti città greche di Sicilia terminato con la sconfitta degli Agrigentini. I Siculi, sempre discordi, si divisero fra l’uno e l’altro belligerante e scontarono l’abbandono della causa nazionale con la distruzione della più importante delle loro città per opera dei Siracusani. Ma nello stesso tempo furono poste le radici dell’odio dei Siculi per i Siracusani.

Questa “importante città” distrutta dall’esercito di Siracusa è Trinakia. Che Gliozzo identifica in prima battuta con Cesarò (un po’ di sano campanile non guasta…) in seconda con Troina.

Potente città sicula rimasta indipendente che prende il nome che i greci allora davano alla Sicilia per la sua forma triangolare, Trinacria o Trinakia è assalita da un poderoso esercito siracusano. Si difende eroicamente. Vecchi, giovani, fanciulli, uomini e donne si battono disperatamente e solo il numero infinitamente superiore degli avversari ha ragione dello sconfinato valore dei suoi abitanti. I superstiti però non si sottomettono e si rifugiano sulle montagne, da cui sperano di scendere un giorno per scacciare i greci dalla loro terra. Speranza che naturalmente rimarrà tale.

Gliozzo riporta un brano di Diodoro Siculo: “Nel 440 Ducezio colto da una malattia finì i suoi giorni. I Siracusani intanto dopo aver sottomesso tutte le città dei Siculi, ad eccezione di Trinacria, presero la decisione di muoverle guerra. E infatti guardavano ad essa con grande sospetto, temendo che i suoi abitanti mirassero ad assumere la guida delle genti sicule appartenenti alla stessa stirpe. Questa città poteva disporre di un cospicuo numero di valenti soldati e aveva sempre detenuto un posto di prestigio fra le città sicule, poiché era piena di capi che andavano orgogliosi del loro valore militare. Fu questo il motivo per cui i Siracusani, concentrati tutti i loro eserciti e quelli delle città alleate, le mossero guerra. Gli abitanti di Trinacria, pur non disponendo dell’apporto di alleati, per il fatto che tutte le città erano soggette ai Siracusani, opposero una strenua resistenza. Affrontarono con ardore i pericoli e, dopo aver fatto strage di un gran numero di nemici, finirono tutti la loro vita lottando da eroi. Allo stesso modo la maggior parte degli anziani si diede volontariamente la morte, non riuscendo a sopportare l’ignominia della conquista della loro patria. E i Siracusani, dopo aver ottenuto un così brillante successo contro uomini in passato invincibili, ridussero in schiavitù gli abitanti e rasero al suolo la città e del bottino conquistato inviarono la parte migliore a Delfi a testimonianza della loro gratitudine al dio”.

Fine eroica. La ricostruzione di Diodoro non accenna a superstiti rifugiatisi nelle montagne vicine. Ma tant’è; non è da escludere che un gruppo di abitanti abbia optato per la fuga e per darsi alla macchia, soluzione comunque preferibile ad altre ben più fosche: prigionia, schiavitù, soppressione fisica. Però non c’è che dire: quell’immagine degli anziani che si danno la morte perché non ne vogliono sapere di vedere la loro città vinta, occupata dal nemico e sul punto di essere distrutta, supera per vigore le scene più celebrate delle antiche tragedie greche. Commenta Gliozzo: “La descrizione diodorea esalta l’estremo sacrificio dell’ultimo baluardo dei Siculi, tesi ad immolarsi pur di non cedere e non tradire il sogno e la realtà della propria indipendenza. La tonalità epica da molti è stata confusa e giudicata quasi retorica. Ma vi sono momenti nella storia in cui una sana retorica descrittiva degli avvenimenti, a scanso di travisarli, li evidenzia nella giusta luce. Sembrano forzature soltanto nei periodi storici caratterizzati dalla caduta dei valori e dalla scomparsa degli ideali. In epoche d’impegno e di fede simili avvenimenti ritornano d’esempio e di sprone per gli spiriti eletti”.

Cruenti quanto epici sono gli avvenimenti narrati. Ma erano davvero costoro gli antenati di noi troinesi? Gliozzo argomenta le sue tesi. Appare strano tuttavia che non esista nessuna traccia, anche minima, nelle migliaia di pagine finora scritte sulla storia di Troina di questa identificazione con Trinacria o Trinakia che dir si voglia. E’ anche vero che Trinacria può essere stato il nome di una breve fase storica, magari scelto apposta per rimarcare l’identità nazionale sicula.

Innanzitutto Gliozzo rivoluziona la geografia di quegli eventi storici spostandone il baricentro a nord rispetto alla Sicilia centrale o alla Piana di Catania. Scrive: “Come ben osservò Francesco Paolo Rizzo, relativamente alla creazione di un valido esercito siculo e alle “ktiseis” (fondazioni) di Menai e Palica, ci troviamo, anzitutto, in una zona che non potrebbe essere in questo momento se non a completa disposizione degli indigeni: il “temenos” dei Palici è infatti come il cuore del mondo siculo. Il supporre gli indigeni minacciati proprio in questo loro centro significherebbe annullare alla radice tutto il movimento siculo così come esso si è venuto sviluppando fino a questo momento”. La koinè territoriale, religiosa e politica va dunque ricercata nei territori dell’Hadranios e dell’avamposto dei Nebrodi. Dopo questi “preamboli”, tentiamo le localizzazioni. Palica dovrebbe essere ricercata in una zona tra Bronte, Maniace e Cesarò oggi denominata Placa Bajana. Nei documenti latini essa viene indicata come Placa Pajana che potrebbe avere il significato di Palica Pagana”. In questo modo confuta la localizzazione di Menai e Palica nella zona di Palagonia e Mineo. Anche l’identificazione del luogo di nascita di Ducezio non sta bene a Gliozzo: “Noai era la patria di nascita di Ducezio; e dovrebbe essere identificata con l’attuale Novara sui Peloritani (prima detta “Noara”). Cluverio ed altri sostennero tale tesi ma la maggioranza rifiutò tale localizzazione. Essa infatti non rendeva logica l’ubicazione delle fasi posteriori di Ducezio nella più volte citata zona di Palagonia – Mineo. Ma ove si accettasse la tesi di una ubicazione del culto palico nella zona dell’Hadranios, l’identità Noai – Novara diverrebbe logica. Che un folto gruppo siculo fosse attestato sui monti a sinistra del corso dell’Alcantara (antico Akesines) è dimostrato dal massiccio intervento che essi fecero in soccorso di Naxos quando questa città venne minacciata dai Messeni. L’apporto siculo fu determinante per capovolgere le sorti belliche: i Messeni furono sconfitti e Naxos fu salva. Risalendo il corso dell’Alcantara si aprono i territori dell’attuale piana di Maniace e, contemporaneamente, delle prime ramificazioni dell’alto Simeto. Quindi il primo impatto di Ducezio, facendo il percorso interno dell’Etna, fu quello di incontrare le genti e le città sicule dell’Hadranios. Comprese subito la forza scaturente da una unione comune di tutta la stirpe sicula. La genialità e l’intuito del principe condottiero dovettero ammaliare ed attrarre le più importanti comunità della zona, in primo luogo Trinakia ed Erbita, che gli diedero la loro convinta e piena adesione. A questo punto sarebbe illogica una discesa più a sud di Ducezio per legare religiosamente e politicamente i Siculi. Egli, invece, capì che proprio lì, nell’Hadranios, c’era il centro religioso dei Siculi e l’apporto preminente dei valorosi condottieri di Trinakia e degli influenti Siculi di Erbita. Constatò inoltre come pure le città di Engyon e di Apollonia erano favorevoli; ed anche le comunità minori della zona, ruotanti nel giro delle più note città, erano pronte a schierarsi”.

Nel dicembre del 1988 si tenne ad Agira e Catania un convegno di studi internazionale sullo storico Diodoro Siculo. Emilio Galvagno nella sua relazione dal titolo “Ducezio eroe: storia e retorica in Diodoro” si chiede: “Per Ducezio, morto di malattia, Diodoro non menziona il culto eroico a lui spettante. Subito dopo, come si può notare, si sofferma con molta cura di particolari sulla fine dei Trinakioi. Ma quale era e dove si trovava questa città menzionata da Diodoro solo in questo passo? Che rapporto aveva con Ducezio? Che cosa c’è che collega la morte per malattia del condottiero siculo e la fine eroica di Trinakie”?

Gliozzo risponde così: “Gli interrogativi posti da Galvagno sono tutti e tre interessanti ma per il nostro studio giova particolarmente il primo. Mi permetto di rispondere: Troina o Cesarò. Più la seconda che la prima. Rischio di essere linciato dagli studiosi di storia antica; per questo accelero i motivi delle due indicazioni. Per Troina, che nei secoli passati era chiamata Traina, vi è soltanto l’appoggio del nome che l’avvicina. In periodo arabo era scritta “Tr.n.h.”, perché essi escludevano la vocalizzazione dei termini.

Come avrebbero scritto gli Arabi Trinakia? Certamente “Tr.n.h.”, cioè nel medesimo modo di Traina. Infatti l’“h” araba aveva il suono di “ch”. In senso fonico abbiamo soltanto la modifica della “i” in “ai” della prima sillaba (trasformazione comune in molte parole). Tenuto anche conto che gli arabi aggiungevano il suffisso “ya” alle finali dei nomi, avremmo “Trainah-ya” e “Trinah-ya”. Resterebbero in tal modo simili anche foneticamente. Ma gli storici propendono per identificare Troina con Engyon. In tal caso dove andrebbe Engyon? La potrebbe ereditare Cesarò. Non c’è contraddizione, allora? Risponderò più avanti. Il termine “Trinacria” (donde Trinakia) è notoriamente riferito alla Sicilia perché etimologicamente indica i tre capi o promontori agli angoli dell’isola: Peloro, Passero e Lilibeo. Ma oltre al significato “capo”, “promontorio” il termine greco “akra” indica “sommità”, “vetta di monte”, “roccia”. In questo senso, riferito alla città, “Trinakia” dovrebbe significare “tre rocce”, da cui “città delle tre rocce”. Mentre Troina è da escludere in tale significato etimologico, in quanto è “mono – akra”, costruita com’è su un solo tronco di cono naturale, Cesarò risponde e corrisponde esattamente a questa definizione, poiché, oltre ad essere costruita su una vasta area rocciosa, è contornata da tre rocce svettanti”.

Riepilogando, ecco cosa sostiene Gliozzo a proposito di localizzazioni di antiche città nel nostro territorio:

Engyon: Troina (in subordine Cesarò);

Apollonia: Castel di Bolo;

Noai: Novara di Sicilia;

Tempio dei Palici: Placa Bajana (territorio di Bronte);

Palica: presso Placa Bajana (forse il Castel di Bolo prima di chiamarsi Apollonia);

Menai: sito archeologico del Mendolito (sotto Adrano);

Trinakia: Cesarò (in subordine Troina);

Alesa interna: pressi di Maniace;

Erbita: Rapiti (ad est di Cesarò);

Kale Akte: Caronia Marina;

Alesa Arconidea: Tusa;

Agatirno: Monte Vecchio di San Fratello;

Krasto: Alcara;

Alontion: San Marco d’Alunzio.

Così se i fieri ed eroici abitanti di Trinakia – in grado di tenere testa a Siracusa, una delle più potenti città del Mediterraneo del tempo – erano gli antenati dei troinesi rimane un quesito senza definitiva risposta. Però – perché non ammetterlo? – ci piace pensare che sia stato così. Perché hanno scritto col loro sangue pagine così dense di eroismo ed amor di patria che i discendenti – dovunque sia localizzata Trinakia – avrebbero ben motivo di esserne orgogliosi.

 

Pino Scorciapino

 

(Saggio pubblicato nel volume

Pino Scorciapino

Conterranei Miei Atto II

Volti e storie di Troina e dintorni

Dall’antichità ai giorni nostri

TipoEdizioni, 2009. Pagine 142-148)

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