Il cantautore siciliano si è spento ieri mattina nella casa di Milo, alle pendici dell’’Etna, aveva 76 anni.
La notizia che nessuno avrebbe mai voluto ricevere è giunta ieri, nelle prime ore di un triste martedì di primavera. Franco Battiato è morto all’età di 76 anni, dopo una lunga malattia, lasciandoci orfani e sgomenti. È come l’aver di colpo realizzato che anche quegli “esseri speciali” – gli artisti che ami e veneri fino all’idolatria – sono fatti di carne e di ossa, di materia destinata a deperire e trasformarsi; che vivere una vita da mito non ti preserverà dalla più terrena delle esperienze, la morte. Ma la finitezza è prerogativa dei corpi e non delle menti, dei pensieri o delle idee. L’anima di Battiato vive nelle sue meravigliose canzoni, nella rivoluzione dei suoni e nella poesia delle suoi testi. Un’immortalità che ci salva dal dolore della perdita, restituendoci l’artista ogni qual volta ascolteremo uno dei suoi brani: “e il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”, recita una delle sue canzoni più belle, Prospettiva Nevskij. È l’idea stessa della reincarnazione che si realizza, la spiritualità di Battiato materializzata in poche splendide parole; la possibilità di una nuova vita oltre la morte, la ricerca necessaria e dolorosa dell’inizio nella fine.
In cinquant’anni di carriera Battiato ha mostrato tutto il suo talento rimanendo sempre fedele alla propria arte. Non ha mai rincorso l’approvazione del pubblico – si è fatto piuttosto rincorrere – e ha ottenuto successi a livello nazionale, scalando le classifiche musicali e producendo dischi da milioni di copie. Se dovessimo riconoscergli un grandioso merito (fra i tanti), diremmo che Battiato è stato il primo, e forse l’unico, nel panorama musicale italiano del ‘900, ad operare una vera e propria rivoluzione. Ha scardinato le regole, creato commistioni potenti e sperimentazioni audaci. Ha utilizzato stili linguistici e musicali nuovi, ha unito l’alto e il basso sposando generi diversi, passando dal classico al pop, dalla musica etnica all’elettronica. Ci ha spinti alla riflessione e ci ha visti “danzare come le zingare del deserto”. È stato un genio insomma, un artista impossibile da dimenticare. E forse anche la sua, la nostra Etna ieri notte ha voluto tributargli un ultimo saluto; “A muntagna” è infatti tornata a farsi sentire, regalando fino all’alba uno spettacolo “dolce” di fuoco, rischiarando di luce il cielo notturno. Un arrivederci speciale ad un siciliano speciale.
“Un suono discende da molto lontano
assenza di tempo e di spazio
nulla si crea, tutto si trasforma
La luce sta nell’essere luminoso
irraggia il cosmo intero
cittadini del mondo cercano una terra senza confine
La vita non finisce è come il sonno
la nascita è come il risveglio
finché non saremo liberi
torneremo ancora, ancora
e ancora…”
Addio Maestro,
e Grazie.
Lavinia Trovato Lo Presti