Fiacca mobilitazione nell’ennese sui referendum dell’8 e 9 giugno

Sui 5 referendum dell’8 e 9 maggio, di cui quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza, non c’è un’apprezzabile mobilitazione nei comuni dell’ennese. I motivi sono diversi. Tra questi ne scegliamo alcuni, che aiutano più degli altri a spiegare questa debole mobilitazione. Tutti i sondaggi sulle intenzioni di voto segnalano che andrà a votare il 38 per cento degli elettori. Questo vuol dire che i referendum, anche se i SI’ saranno più dei NO, saranno nulli, cioè tutto resterà come prima. E’ comprendibile che, tra i favorevoli all’abrogazione delle leggi sottoposte a referendum, si diffonda il convincimento che tanto è inutile fare propaganda per il SI’ e andare a votare. Ma non è giustificabile il comportamento che ne deriva da questo convincimento, in particolare in quelli che hanno sottoscritto la richiesta dei referendum o comunque ne sono stati i promotori. Le battaglie ingaggiate vanno combattute fino alla fine, pur sapendo che l’esito non sarà quello sperato. Non si può dare l’impressione che ci si impegna solo nelle battaglie che si vinceranno. Ne va di mezzo la reputazione e la credibilità. E poi, anche se non si raggiunge il 50 per cento più 1, il risultato avrà comunque un suo significato: se gli elettori che andranno a votare e i SI’ saranno molti, vuol dire che c’è una forte richiesta di cambiare lo stato di cose esistenti in materia di tutela e dignità del lavoro e della cittadinanza. I 5 quesiti referendari non sono di facile ed immediata comprensione, come lo sono stati quelli sul divorzio, aborto e acqua pubblica. Fino ad ora non si è visto un apprezzabile sforzo dei promotori per spiegarli agli elettori con iniziative come assemblee e incontri pubblici. Il solo volantinaggio non basta. I quesiti vanno spiegati. E, in questo, non si vede nemmeno un impegno dei mezzi di comunicazione di massa vecchi e nuovi (televisioni, giornali on line e di carta stampata). L’altro motivo, che merita una particolare attenzione per capire la debole mobilitazione in questa campagna referendaria, ci porta a quello che sono diventati i paesi dell’ennese per effetto dello spopolamento e delle trasformazioni socio-economiche dalla seconda metà del ‘900 ad oggi. I paesi non solo diminuiscono di abitanti, ma vedono cambiare loro composizione demografica per classi di età. Per fare un esempio, che vale per tutti gli altri paese, cito il caso di Troina che nel 1951, su una popolazione di 14 mila abitanti, contava 942 anziani con più di 65 anni (6,7%) mentre oggi, nel 2025, su una popolazione di 8 mila e 300 di anziani con oltre 65 anni di età nel conta 2 mila e 300 (27%). I 5 referendum riguardano prevalentemente i giovani, che sono pochi, e non gli anziani, che sono molti. Anche la struttura socioeconomica è cambiata. Alcuni decenni addietro, c’era ancora ancora un assetto sociale vivace articolato in gruppi ben distinti per professioni, attività economiche svolte, stili di vita e cultura. In alcuni casi si poteva parlare di classi sociali vere e proprie con una chiara coscienza di appartenenza, spesso in conflitto. Quest’assetto sociale si è sgretolato e di fatto non c’è più. Adesso lo scenario sociale è occupato da un vasto, grigio ed indistinto ceto medio che vive di pensioni e stipendi della pubblica amministrazione e di aziende private, come l’Università Kore di Enna e l’Oasi Maria SS di Troina, che si gode tranquillamente quel tanto o poco benessere acquisito e non vuole pensare altro, come potrebbero essere i 5 referendum.

 

Silvano Privitera

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