Ernie Pyle, cronista della battaglia di Troina 

Nella prima settimana di Agosto del 1943, Troina fu teatro di quella che venne definita come una tra le più difficili e importanti delle battaglie minori del secondo conflitto mondiale in territorio italiano.

Tra i tanti giornalisti che furono testimoni diretti degli eventi drammatici di quei giorni vi fu anche l’americano, Ernie Pyle, che seguiva da cronista i fatti della guerra al seguito dell’esercito americano e che, subito dopo la fine della guerra, alla fine del ’45, raccolse le sue corrispondenze, (che già nel ’44 gli avevano fatto guadagnare il premio Pulitzer) – pubblicate nei più popolari e diffusi quotidiani e settimanali americani e inviate dalla Tunisia, dalla Sicilia, dal resto d’Italia e dalla Francia– in un libro dal titolo Brave Men.

E, il suo, tra i tanti libri che raccontano lo sbarco dell’esercito americano in Sicilia, nell’estate del ‘43, e la liberazione dell’isola dai nazi-fascisti, scritti dai giornalisti americani che si misero al seguito dell’esercito degli States, uscito nel ’45, è stato sempre ristampato in America, ma mai tradotto in Italia. Eppure ha un pregio abbastanza raro negli altri libri sull’argomento: racconta senza trionfalismi o patriottismi retorici gli eventi bellici e la vita quotidiana dei militari Usa, valorosi ma anche impauriti e inorriditi, con la voglia di vincere ma anche di tornare di casa sani e salvi.

Pyle, in Sicilia, comincia a vivere le sue giornate di corrispondente di guerra con gli ingegneri della prima divisione di Fanteria, che tracciano, dopo accurati rilievi, mappe dettagliate del territorio, dei corsi d’acqua, delle montagne, delle risorse del sottosuolo e di tutto questo competente lavorio dei tecnici militari Usa dà conto nelle sue cronache; scrivendo dell’Isola decanta le meraviglie paesaggistiche (‘Sicily is really a beautiful country’), l’ospitalità e la simpatia dei siciliani (‘civilians on the roads and in the towns smiled and wawed. Kids saluted’) e racconta di fatti curiosi che gli accadono: a Palermo, per esempio, nell’albergo dove ha trovato alloggio, la sua stanza è sporca piena di mosche: ne chiede un’altra più pulita e soprattutto senza insetti; viene subito accontentato, ma dopo un po’ vi trova uno scorpione. Ma quando la ‘campagna’ militare entra nel vivo, i toni delle corrispondenze di Pyle cambiano e il giornalista, dalla Sicilia che gli era apparsa bella e serena, descrive le stragi e l’orrore a cui assiste e i combattimenti logoranti e cruenti, come non aveva visto prima, in Tunisia, da dove aveva cominciato a seguire le operazioni militari degli Usa nel mediterraneo.

Passando attraverso i paesi dell’entroterra, Pyle, vede e scrive dei soldati tedeschi e italiani morti e dei loro corpi sfregiati, decapitati, messi in pila a centinaia sulle piazze: di alcuni, addirittura, dice di averli trovati, nel rigor mortis, col pene completamente eretto. Perlustrando gli ospedali da campo registra il loro doloroso supplizio, e osserva le macabre immagini, di uomini orrendamente mutilati, colpiti in più parti del corpo, trasfigurati nei volti raggiunti da schegge – di pietre, alberi, cemento o ferro – prodotte dalle esplosioni delle bombe e dal fuoco delle armi (‘uno era stato colpito dal proiettile di una mitragliatrice che aveva scavato un tunnel nella sua faccia, entrando dal naso, attraversando la guancia e uscendo dall’orecchio; un altro aveva due buchi nel sedere, tanto grandi che in uno di loro poteva entrarci una mano intera’).

Ma quello che lo colpisce di più è il numero, notevolmente consistente, di militari, per lo più giovanissimi, che si presentano dai medici ‘con i volti inebetiti’, disorientati, confusi, apatici, incapaci a rispondere alle domande, in preda al panico e tremanti. Sono i sintomi e gli effetti, scrive Pyle, della ‘fatica della guerra’, quella di cui nessun altro corrispondente di guerra americano vuole parlare; sono i soldati che avvertono lo stress di una guerra non facile, a cui non sono abituati, soprattutto quando incontrano un’inaspettata resistenza tedesca, nella prima settimana di Agosto, a Troina, dove i tedeschi arroccati sulla montagne che circondano il paese, li costringono ad una lunga sosta e alla soluzione finale dell’attacco aereo con bombardamento a tappeto del centro abitato.

È il 5 Agosto quando Pyle raccoglie sul suo taccuino le vicende del giorno, che mostrano una delle fasi più cruente della Battaglia di Troina:

‘Erano le 17,30 quando trovai i miei compagni, seduti su delle sdraio, sotto un albero, fuori dalla tenda, mentre guardando i bombardamenti. Ogni soldato sa che uno dei momenti più importanti di una guerra è quel tratto di quiete che si presenta nel bel mezzo degli orrori peggiori. Quella sera era uno di questi momenti. Le nostre truppe erano impegnate in una cruenta battaglia contro la città di Troina e in quel pomeriggio il Comando supremo aveva dato ordine di bombardare la città. Fu terribile! Gli aerei lanciarono un’ artiglieria delle più devastanti, persino più micidiale di quella usata in Tunisia. Attraverso i nostri cannocchiali potevamo vedere Troina come in un olocausto, grandi nubi di polvere e un denso fumo nero si sollevarono nel cielo. Le bombe esplodevano creando un boato pauroso, come di una bestia che sta per distruggere il mondo. I tedeschi venivano uccisi a centinaia e noi potevamo goderci la vista attraverso i nostri binocoli, dall’alto della collina. La vista era terribile. Eppure sedevamo sulle nostre sedie a bere, rilassati e soddisfatti del lavoro compiuto, come spettatori di una commedia. Dopo un po’ entrammo nella tenda degli ufficiali e mangiammo delle bistecche che avevamo sottratto ai tedeschi. Dopo cena, i sei soldati e i tre ufficiali che dovevano essere premiati si allinearono fuori dalla tenda.

Ma è uno spettacolo, quello della guerra che sfianca il grande corrispondente di guerra americano, che a stento riesce a documentare la completa liberazione dell’isola e la vittoria degli americani e il 20 Agosto, a Messina, dichiarando di voler ritornare in America, confessa in un suo articolo: ‘sono sporco sia mentalmente che fisicamente. Ho prosciugato le mie emozioni. Guardo il coraggio, la morte, i campi di battaglia, i tanti e tanti paesi, quasi come un cieco, vedendo debolmente e non volendo vedere affatto la realtà. E’ il pensiero dell’insensatezza che si insinua in me e comincia a divorarmi. E’ la polvere perpetua che mi soffoca, il terreno duro che mi irrigidisce i muscoli, sono le mosche e i piedi sporchi e il rombo continuo dei motori e il movimento continuo, il vai e vai, notte e giorno e poi di nuovo, la notte, senza mai smettere o solo Dio sa quando, ma io sono stanco’.

In Pyle l’incertezza, lo sconforto prendono il sopravvento e lo fanno decidere per un abbandono – anche se momentaneo – del suo lavoro di reporter dal campo di battaglia: la guerra in Sicilia – con le immagini orribili delle battaglie, come quella di Troina – gli ha provocato l’identico esaurimento fisico e ‘ottundimento mentale’ patito da tanti soldati Usa.

Finita la guerra, toccherà al nuovo governo comunale della Troina liberata, sgombrare dalle macerie la gran parte dell’abitato e iniziare un lungo e difficile cammino di ricostruzione edilizia e urbanistica, in collaborazione con l’Amgot (il Governo militare alleato dei territori occupati). Toccherà, invece, ai cultori di storia locale – tra i primi padre Lo Cascio, nelle sue memorie e Luigi Anello nel suo libro La battaglia di Troina – in modi e tempi diversi, lungo tutto il ‘900, ricostruire le dettagliate e minutamente complete vicende di quei giorni di battaglia, che costarono le vita non solo ai tanti soldati dei due fronti contrapposti, ma anche alle centinaia di abitanti di Troina, morti, da vittime innocenti e forse anche in gran parte ignare delle ragioni di quella guerra, tra scontri a fuoco e bombardamenti.

Vittime innocenti di un ‘olocausto’ che fu tanto impressionante, per il giornalista e scrittore Pyle, da fargli confessare il disagio e lo sfinimento fisico e psichico del raccontare le atrocità e la disumanità di quella guerra: che il mondo sperava potesse essere l’ultima, speranza che la storia successiva e la realtà attuale hanno reso vana e ancora lontana.

 

Silvestro Livolsi

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